Chop suey (con buona pace dei cinesi)

chop suey in wok

Ricordavo di aver cucinato spesso questo piatto agli albori della mia attività di cuciniera (prima dei trent’anni, insomma). Ricordavo che la cosa che mi piaceva di più era la croccantezza dei broccoletti: in anni in cui la verdura veniva comunemente stracotta, era stata una piccola rivelazione. Avendo ricominciato ultimamente a cimentarmi con ricette di ispirazione orientale (con buona pace degli orientali veri, che magari avrebbero qualcosa da ridire!), ho cercato di ricostruire quella di allora.

Per chiarirci, se ho capito bene da una mini ricerchina in rete, per chop suey si intende un piatto saltato con verdure che si può preparare un po’ con quel che si vuole.
Ecco allora i miei ingredienti (per me medesima: moltiplicare per i commensali previsti)
chop suey ingredienti150 g d polpa di maiale a bocconcini
(io ho usato una costoletta disossata)
una carota
una decina di cimette di broccoletti
un cipollotto
una manciatina di germogli di soia
30-40 g di vermicelli di soia
zenzero fresco, peperoncino in polvere
2 cucchiai di salsa di soia, un cucchiaio di sakè, un cucchiaino di Maizena
olio di semi di arachidi e olio di sesamo
E veniamo alla preparazione.
Ho sciolto la Maizena con la salsa di soia e il sakè, ottenendo una salsina. Tagliata la carne a cubetti, l’ho condita con la salsina, peperoncino a go-go e un cucchiaino di zenzero grattugiato e l’ho lasciata marinare.
Intanto, ho tagliato il cipollotto a rondelle (anche un bel po’ di verde, che è piccantino e delizioso) e la carota a bastoncini (un po’ più grandi di una classica julienne: la mano ancora non è al 100%), poi ho diviso i broccoletti a ciuffetti piccini.
Ho scaldato nel wok un filo d’olio con qualche goccia di olio di sesamo e ho saltato qualche istante la carne con la sua marinata, il tempo di farla colorire. L’ho tolta, tenuta da parte e saltato insieme le verdure per 6, 7 minuti.
Intanto, ho portato a bollore un pentolino d’acqua, ho spento e ho versato i vermicelli di soia, lasciandoli rinvenire meno di un minuto. Appena ammorbiditi li ho scolati e passati sotto l’acqua fredda: consiglio (io non l’ho fatto, sbagliando) di condirli subito con un filino di olio, altrimenti si ammassano.
Ho rimesso nel wok la carne e, dopo un paio di minuti, ho aggiunto i vermicelli, mescolato, versato nel piatto e gnam! O in qualunque modo dicano i cinesi…

Pubblicato in le mie ricette | Contrassegnato , , , , , , , | Lascia un commento

mi sono rotta!

questo è un post scritto con la mano sinistra. perché ho rotto il polso destro. e anche le mie costole non stanno molto bene. sicché, per 40 giorni, ingessata dalla mano alla spalla, non scriverò e, quel che è peggio, non cucinerò. e chissà quanto tempo prima di tornare a fare in scioltezza una concassé o una vinaigrette, a sfilettare un branzino o ad affondare il coltello in una semplice bistecca. si accettano pacche sulla spalla (purché delicate), incoraggiamenti, consigli e generi di prima necessità, recapitati a domicilio. a presto, dunque.

Pubblicato in fatti miei | 1 commento

Gente che si diverte

Showcooking al Salone del Gusto 2012: Anna Maria Pellegrino, lo chef di Pasta Garofalo e la sottoscritta

Questo è un post al buio su una ricetta improvvisata. Al buio, perché non mi sono più consultata con la mia socia, Anna Maria Pellegrino, compagna di avventure con la Gente del Fud di Pasta Garofalo al Salone del Gusto. Improvvisata, perché nata al telefono con Anna Maria e poi, per “esigenze sceniche”, reinterpretata al momento insieme allo chef di Garofalo. Ma andiamo con ordine.

L’intenzione: fare una pasta mista napoletana, risottata alla milanese, con una crema di zucca veneziana. Per completare il giro d’Italia, zafferano dalla Sardegna (Presidio Zafferano di San Gavino Monreale) e midollo di bue dalla Toscana (da Sergio Falaschi, macellaio in San Miniato).
La base era una semplice crema di zucca, stufata in un fondo di olio e cipolla, poi frullata in crema. In questo fondo, abbiamo gettato la pasta mista e l’abbiamo portata a cottura a risotto allungando via via con ottimo brodo di carne (sempre grazie a Falaschi). Mantecata con burro e parmigiano. Completata con pinoli e uvetta, spadellati a parte. Impiattata con un poco di crema di zucca, un ciuffetto di pistilli di zafferano (profumatissimi!), un cucchiaino di midollo rosolato del burro e un niente di cannella in polvere. Beh, inutile che vi dica io che era buona – sebbene qualcuno abbia obiettato che una macinata di pepe…
Le dosi precise le sperimenterò appena mi viene voglia di riprovarla a casa. Qui alcune constatazioni.
La pasta risottata è buonissima e sta diventando un po’ il mio must. Come per il risotto occorre un riso di grande qualità, giustamente amidaceo ma dal cuore “tosto”, così la pasta deve ammorbidirsi fuori, fare crema ma mantenersi al dente, e in questo Garofalo è risultata più che all’altezza – non avevo dubbi, del resto.
Mancava, per questioni di quantità, l’avvio classico, ovvero la pasta a crudo tostata nel fondo di cipolla o scalogno prima di iniziare a unire il liquido (brodo o, in questo caso, una crema di zucca piuttosto fluida).
Piccolo inciso. Mi sono ricordata di una conversazione avuta anni fa con Claudio Sadler a proposito del risotto alla zucca, che suggeriva di preparare sostituendo al brodo la crema frullata: e se lo consiglia lui…

Torniamo a noi. La cottura risottata ha il merito di “impregnare” la pasta di tutti i sapori di quello in cui cuoce: sapore+sapore+sapore fa sapore concentrato, che è sempre un bel risultato.
Molto interessanti le rifiniture. Il midollo rosolato nel burro è la base del soffritto del risotto alla milanese, e non poteva mancare: qui è stato guarnizione finale, da mescolare al momento dell’assaggio per aggiungere succulenza al piatto. Zafferano e cannella, due tocchi speziati contrapposti: amarognolo il primo, dolce la seconda, entrambi di grande intensità e giustamente dosati con discrezione, che non avessero a sopraffarsi uno con l’altro. La frutta secca è parsa il naturale complemento di un piatto che richiama cucine d’altri tempi.

L’insieme, sulla carta un po’ complesso, è invece risultato di inaspettata semplicità. Forse perché tutti gli ingredienti si sono alla fine armonizzati tra loro. Proprio come noi, protagonisti estemporanei di una ricetta improvvisata. Grazie a tutti quelli che l’hanno resa possibile – e a Pan Gu che mi ha fatto le foto, e U10 che ha realizzato il tweetbook.

gdfsalone2012

Pubblicato in le mie ricette | Contrassegnato , , , , , , , , | 3 commenti

Io non sono una food blogger

Immagine

Gli amici di Gente del Fud stanno mettendo in piedi una cosa grande: 150 food blogger al Salone del Gusto ad animare una girandola di eventi all’insegna delle eccellenze italiane. Ne farò parte anch’io, ma ve ne parlerò a tempo debito.
Quel che mi interessa, ora, è fare a me stessa una domanda: ma io, sono una food blogger? E prima ancora, chi è un o una (food) blogger?

La questione non è nuova. Solo poche settimane fa se ne parlava su Dissapore (inciso: posso dirlo, quanto mi piace Dissapore? ecco, l’ho detto!) anche riprendendo l’intelligente post di The chef is on the table a proposito dei corsi per diventare food blogger. Corsi per diventare food blogger?
Ma tenere un blog non doveva essere un divertissement?
Insomma, per come la sapevo io, un blog è un diario, proprio come quello che avevamo ai tempi delle medie. La differenza è che al tempo delle mele era chiuso con un lucchettino di tolla e, al massimo, si faceva leggere alla migliore miglior amica del cuore (spesso, neppure a lei) e guai se finiva nelle mani del fratello ficcanaso o della mamma impicciona.
Oggi la Rete ha scardinato i lucchetti e le pagine dei diari online sono, con una buona dose di vanità da parte di chi le scrive, esposte alla lettura di tutti.
Così, ci si diverte a raccontare (con penna più o meno felice, ma questo è un altro discorso) le peripezie nell’orto, la cronistoria dei bimbi che crescono o, appunto, i pasticci ai fornelli.
Sì, lo so che esistono blog che si occupano di argomenti anche seri: ve ne sono di belli e importanti. Ma la questione (di lana caprina?) che qui mi preme è capirne di più su quelli – il mio per primo – che in fondo cianciano del nulla, i blog degli hobbisti, dei dilettanti, di chi scrive alle dieci di sera, dopo una giornata uguale a mille altre, felice all’idea che qualcuno, da qualche parte, lo potrà leggere. Ma anche no, perché il piacere di scrivere (per chi non lo fa di mestiere) dovrebbe essere fine a se stesso, come sapevamo a 12 anni, quando tenevamo il diario sotto chiave.
E quindi, davvero per fare questo, per passare il nostro tempo, per esercitare il nostro bello scrivere, occorre un corso? Ma allora, perché non fare corsi (magari di laurea) per diventare blogger tout court?
Certo, occuparsi di cibo è à la page e, chissà perché, aprire un food blog sembra il biglietto d’ingresso al magico mondo del lavoro più bello del mondo, quale che sia.

Posto che mi sfugge la motivazione per cui un blogger dovrebbe diventare un professionista di un qualche genere, a tagliare la testa al toro arriva il neonato (nella versione italiana) Huffington Post.
Il format della nuova creatura del gruppo L’Espresso prevede, oltre a una sezione di news tradizionali, un apporto corposo dai blogger. In America sono addirittura 30.000, da noi per ora la direttora Lucia Annunziata ne ha selezionati poco meno di 200, ma punta a raggiungere a breve almeno 600 “firme” tra note, meno note e affatto note: «Uomini e donne di destra e di sinistra, religiosi e non, attivisti dei movimenti e intellettuali solitari, gente delle professioni, gente con orientamenti sessuali diversi, leaders politici e operai che tengono con le unghie e con i denti il loro posto nelle fabbriche, personaggi conosciutissimi e perfetti sconosciuti, giovani che faticano a tirare avanti, e giovani che studiano in prestigiose università all’estero. C’è anche una suora», dice nel suo primo editoriale Annunziata. Che a Prima Comunicazione aveva anticipato: «I blog non sono un prodotto giornalistico, sono commenti, opinioni su fatti in genere noti; ed è uno dei motivi per cui i blogger non vengono pagati».
E allora, grazie Lucia, perché finalmente mi sono tolta il dubbio e posso affermare che no, non sono una food blogger. Perché per fortuna, quando scrivo sui giornali, vengo ancora pagata.

Pubblicato in fatti miei | Contrassegnato , , , , , | Lascia un commento

Cosa me ne faccio di tutte queste uova?

A casa, per Pasqua, saremo in sei.
Per cominciare, un antipasto: tuorlo fritto, come fa il mio amico Andrea, su insalatina. Per prepararlo, sguscerò sei uova, un uovo alla volta, separando albume e tuorlo e facendo scivolare con grazia quest’ultimo in un vassoio, su uno strato alto almeno un centimetro di pangrattato e pecorino mescolati insieme in parti uguali. Quando li avrò messi in fila tutti e sei, coprirò i tuorli con altro pangrattato+pecorino e metterò nel frigo, per un paio d’ore.
Nel frattempo, farò la pasta. Siccome le mie uova sono piccine (60 grammi), ne userò due intere+un tuorlo ogni due etti di farina. Per non lasciare la famiglia affamata, calcolerò sei etti di farina, sei uova intere, tre tuorli. All’impasto aggiungerò un pizzico di sale e un paio di cucchiai di olio e, una volta lavorato ben bene il tutto, ne farò una palla che avvolgerò in pellicola e lascerò riposare una mezz’ora.
A questo punto, avrò radunato ben 9 albumi. Potrò farne una frittata agli asparagi, suggerita dall’amica Luisa. Diciamo che mi occorrerà un bel mazzo di asparagi da accorciare, pelare leggermente nella parte chiara dei gambi, poi tagliare a rondelle lasciando intere le punte. Siccome non amo la verdura lessata, farò appassire gli asparagi in padella: comincerò con le rondelle, una bella noce di burro spumeggiante e un’erbetta (salvia, timo, vedrò cos’ho) poi, quando saranno morbide, aggiungerà le punte e terminerò di cuocere. Sale, pepe e spegnerò. Mentre la verdura si raffredderà, sbatterò leggermente i miei nove albumi con un paio di bustine di zafferano, tanto per non fare una cosa troppo bianca. Ci verserò gli asparagi, mescolando bene, e cuocerò la frittata nella stessa padella della verdura.
Archiviata la frittata (la mangeremo fredda, con l’aperitivo), la pasta sarà pronta da stendere. Facendo tesoro del pasticcio accaduto l’ultima volta (sfoglie incollate una sull’altra), preparerò tanti, tanti vassoi, coperti da canovacci infarinati, sui quali stendere le sfoglie rigorosamente in un solo strato, ad asciugare un po’ prima di tagliare le tagliatelle.


Condimento per le tagliatelle: sei gambi di carciofi (sì, solo i gambi) pelati e fatti a tocchetti, stufati con un porro a rondelle e un etto scarso di salsiccia dolce sbriciolata, olio o burro chiarificato come avrò voglia. Alla fine, per legare, un paio di cucchiai di panna fresca, sale se serve, pepe a volontà se piace.

Sarà l’ora di friggere i tuorli! Un pentolino con tre, quattro dita di olio di semi bollente. Con un cucchiaio, preleverò un tuorlo per volta dal suo nido panformaggioso, con estrema delicatezza scuoterò la panatura in eccesso e farò scivolare l’ovino nell’olio bollente (bollente, mi raccomando: si può verificare gettandoci una briciolina di panatura, che deve salire subito a galla, sfrigolando tra le bollicine). Via via li scolerò su carta da fritti e li infilerò nel forno, scaldato a 100 gradi e poi spento, con lo sportello aperto. Alla fine, li metterò in coppette di insalatina, misticanza, spinacini, quel che avrò sotto mano, condita con poco olio e sale. Li porterò in tavola dopo l’aperitivo con la frittata di albumi, asparagi e zafferano, accompagnata da bollicine e, magari, qualche fettina di strolghino. Dopo l’insalatina con gli ovini fritti, correrò a cuocere le tagliatelle (due minuti? tre? non di più) e le condirò col mio sughetto carciofi e salsiccia.
Dimenticavo, il “resto” dei carciofi, ben puliti e affettati sottili, crudi in insalata con olio, sale, pepe e qualche scaglietta di grana, saranno il contorno delle costine di agnello che qualcuno (spero!) avrà grigliato sul barbecue.
Ecco, saremo tutti e sei pronti per colomba e uova di cioccolato. Per fortuna, Pasqua viene una volta all’anno!

Pubblicato in le mie ricette | Contrassegnato , , , , , , , | 2 commenti

Tutto quello che avreste voluto sapere

Ricordate il post Domenica da me? Ecco, da quella “giornata particolare” è venuta fuori questa videointervista di cui vado molto fiera e in cui potrete (finalmente?) scoprire tuttoquellocheavrestevolutosaperesullamezzadrimanon avetemaiosatochiedere… O, almeno, perché negli ultimi tempi latito un po’ sul blog: tra la (frenetica) vita da freelance e le mie attività scolastiche, trovo purtroppo poco tempo per postare. Ma cucinare cucino sempre, e faccio anche un sacco di foto: occhio che prima o poi vi inondo!
Intanto, gustatevi il video. Per il quale ringrazio infinitamente Francesca e Maurizio di QB*Tavolo Riservato: bravissimi!

http://vimeo.com/37690288

Pubblicato in fatti miei | Lascia un commento

Domenica da me

Prendi una coppia creativa, Francesca e Maurizio di QB*Tavolo Riservato, con videocamera e luci e tanto entusiasmo. Aggiungi una compagnia piacevole: Gloria, Fiorenza, Filippomio, Lupita coscialunga e Viola nana – le ultime due, di razza canina! Innaffia con vinello bianco fresco, chiacchiere e risate quanto basta
(per restare in tema!): il risultato, a breve su questi schermi.
Intanto, vedete la foto di quello che abbiamo prodotto: spaghetti alle vongole con pesto leggero di basilico e prezzemolo e scorza di limone. Il pesto, senza formaggio e senza aglio (ma l’aglio era nel fondo di vongole), si prepara con 3-4 rametti di prezzemolo e una vaschetta (diciamo 40 g) di basilico e si frulla con pinoli (altri 40 g dovrebbero bastare), olio e l’acqua di cottura dei molluschi. La scorza finisce non solo sopra ai piatti (con qualche pinolo intero) ma anche, prima, nella pentola della pasta, insieme a 3-4 gambi
di prezzemolo. Per i dettagli, le riprese e la ricetta passo passo, stay tuned!

Ps: la foto l’ho rubata da Facebook a Fio, fotografa ufficiale del backstage
Pps: thanks to Garofalo per gli spaghetti

Pubblicato in fatti miei, le mie ricette | Contrassegnato , , , , | Lascia un commento

La posta del cuore – Canterino Solitario

Cara Francesca, mi chiamo Canterino Solitario e vorrei porti questo mio problema: io amo vedere Glee alla televisione, ma la mia dolce metà mi prende in giro e mi dice che sono telefilm per gay e che non capisce come possa guardare certe cose. La verità è che io amerei cantare, ma purtroppo non sono proprio un granché e quindi mi sfogo così. Non potresti suggerirmi una pietanza molto pesante da preparare per quelle sere in cui c’è Glee, affinché possa tirargliela in testa e metterla KO per 45 minuti almeno? Grazie, tuo
Canterino Solitario

Caro Canterino, davvero non capisco alcune mie “colleghe” che tarpano le ali della virilità dei compagni. Sono quindi totalmente dalla tua parte e, se la tua dolce metà fosse qui davanti a me, gliene canterei (tanto per stare in tema) quattro! Sono lieta di essere al tuo fianco in questa battaglia che è di civiltà prima che di sentimenti e va a toccare i delicati equilibri, già troppo spesso stravolti, dei rapporti tra uomo e donna.
Al grido “Nessuno tocchi Glee!”, ti suggerisco di preparare alla signora una bella cassoeula, che è anche di stagione. Tralascia pure operazioni di alleggerimento come bollire a parte le cotenne e il piedino (al massimo, scottali e basta), fai un bel soffritto
di burro (mi raccomando burro, non olio!) e verdure e rosolaci verzini e costine.
Fai stufare (sempre nel burro) una bella verza a striscioline, poi riunisci tutto in casseruola, bagna con un ricco brodo di carne saporito e avvia una lunga, lenta cottura che concentrerà il sapore e, perché no, i grassi. Accompagna con una generosa porzione di polenta, anch’essa condita con burro e grana, e una bella bottiglia di vino rosso.
Tu dì che sei a dieta ma incoraggiala a servirsi due, tre volte. Prima della sigla sarà sprofondata in un dolce sonno. Tu potrai sempre gustarti la tua porzione a fine episodio o, meglio ancora, il giorno dopo, che la cassoeula il giorno dopo è più buona.
Canto con te!

Pubblicato in la posta del cuore | Contrassegnato , , , , , , , , | 1 commento

Non è un lavoro romantico

Se vuoi aprire un locale, il tuo obiettivo deve essere fare business. L’ho imparato durante la mia prima settimana
da scolara (nella foto, Davide Negri, uno dei miei coach).
Ho scoperto l’acqua calda? Non proprio.
Ovvio che se uno apre un ristorante (o un catering, un agriturismo, una tavola calda, un chioschetto) intende farlo
per guadagnarsi da vivere. Ma è dura a morire l’idea romantica di avere il proprio personalissimo “localino”, quello nel quale saremmo clienti fissi se esistesse, quello con l’atmosfera avvolgente, la bella vista,
il menu comfort, il personale sorridente e uno chef che cucina cantando (come stirava
la donna di Tozzi).
Suvvia: chi, seduto ai tavolini di un chiringuito sulla spiaggia, o sorseggiando caffè
e ammazzacaffè nella trattoria fuori porta, con l’aia in cui razzolano oche e galline,
non ha sognato “mollo tutto e apro un posto così”?
Beh, scordatevelo.
Chi fa cucina professionale, e lo fa con successo, cucina per i clienti, in base alla location che si è scelto, con i mezzi di cui dispone.
Chi è destinato al flop considera la sua cucina il meglio che c’è e il cliente un optional (non gli piacciono i miei piatti? vada a mangiare da un’altra parte), propone menu fuori contesto (l’aragosta a Cortina, la polenta a Santa Margherita, per esagerare), insiste
nel cucinare il filetto quando i soldi gli bastano a malapena per il pollo, e così via. Può essere che anche lui ci metta l’anima, ma ormai se l’è venduta al diavolo da un pezzo.
Ho scoperto l’acqua calda? Non proprio.
Piuttosto, ho scoperto perché in tanti posti si mangia male, e perché tanti altri chiudono.
E quindi, ribadisco, un ristorante non lo apro!

Pubblicato in fatti miei | Contrassegnato , , | Lascia un commento

Banco, cattedra o… dietro la lavagna?

Drin! Stavolta, non suona il timer, ma la campanella.
È la settimana del ritorno a scuola. E non sto pensando ai ragazzini
(il mio compreso) che da stamattina è finita la pacchia e tocca rimettersi a studiare. Ma alla sottoscritta. Che, in una manciata di giorni, indosserà prima le vesti della studentessa, poi quelle della prof.
Per cominciare, inizio (come alunna) il mio corso intensivo
a La Scuola de La Cucina Italiana. Mica pizza e fichi, ma un corso “dedicato interamente ai futuri chef”, come recita la presentazione: 22 lezioni per imparare “le tecniche di base di cucina e pasticceria”, con esercitazioni pratiche e approfondimenti teorici. Ma, soprattutto, alla fine di questi due mesi e mezzo di scuola riceverò la certificazione per alimentaristi Haccp (il documento obbligatorio per la manipolazione di materiale alimentare). Tranquilli, non apro un ristorante, ma mi aspetto di imparare un sacco di cose che non so (e sì, anche a fare i dolci, che non sono proprio la mia specialità).

Le cose che invece già so saranno, insieme alle ricette studiate con Gualtiero Villa, oggetto delle lezioni che terrò come “docente” a Teatro7Lab, dove presenteremo
7 menu “seducenti” ispirati ai 7 peccati capitali.
Le ricette, come dicevo, le abbiamo studiate insieme, io e lo chef, in parte ispirandoci
al “noto bestseller” Come sedurlo a tavola di Morellini Editore (pubblicità!).
Gualtiero, di suo, promette di aggiungere professionalità e tecnica. Io trucchi, frizzi, lazzi e un pizzico di malizia (che la seduzione non ha a che fare solo col buon cibo!).
Si parte venerdì 13 (tra i peccati capitali essere superstiziosi non c’è!) con la superbia e un menu di 4 portate strepitose per eleganza e presentazione: 4 portate superbe, appunto.
Nelle intenzioni, chi parteciperà alle mie lezioni poi tornerà a casa (a pancia piena, naturalmente, e con il mio libro, se vorrà!), cucinerà per lui o per lei e lo/la conquisterà seduta stante.
Se così non fosse… mi rendo disponibile sin d’ora a essere messa in punizione e a filare, zitta zitta, dietro la lavagna!

Pubblicato in fatti miei | Contrassegnato , , , , , , , | Lascia un commento